Lettera alla Comunità
11 marzo 2020
Carissimi,
vi scriviamo questa lettera semplicemente nel desiderio di farvi sentire la nostra vicinanza.
Di fronte ai cambiamenti o alle cose che possiamo solo accogliere, e che non avremmo voluto, possiamo chiederci: che cosa abbiamo da imparare? Quale opportunità può esserci?
Siamo invitati anzitutto ad ascoltare la vita, soprattutto nelle sue fragilità e nelle sue svolte.
Non abbiamo risposte da suggerire… anche noi stiamo cercando di reimpostare le nostre giornate, per continuare a rispondere alla nostra vocazione, anche se in modi diversi.
Sicuramente rinunciare a tante cose (spostamenti, relazioni, contatti, momenti comunitari, eucarestia…) è un sacrificio, ma ci porta a riconoscere il valore di ciò che ci manca.
Una cosa è certa però: nessuno può toglierci la carità, la fede e la speranza.
Anzi, in questi giorni possiamo scoprire attraverso le tante attenzioni (e a volte qualche preoccupazione) il bene e l’affetto che ci lega alle altre persone; possiamo interessarci della serenità, delle necessità e della salute gli uni degli altri; possiamo dedicare più tempo e più ascolto ad alcune persone in particolare; possiamo sentirci parte di una comunità e rimanere in contatto, anche se non possiamo radunarci.
In questi giorni possiamo pregare un po’ di più (alcuni hanno anche più tempo) e forse siamo più spontaneamente portati a farlo. Ci riscopriamo creature, limitati, più uguali a tanti altri; siamo costretti a cambiare qualche abitudine nel vivere e nutrire la nostra fede… Ad esempio forse ci fa bene chiederci: come voglio continuare a cercare e incontrare il Signore senza la possibilità di vivere la Messa?
A questo proposito ci piacerebbe accompagnarvi con un piccolo pensiero sulle letture del giorno e preparare, magari con l’aiuto di qualcuno, una traccia di preghiera da vivere in casa per la domenica… Almeno del pane della Parola possiamo nutrirci e, attraverso la preghiera in casa, possiamo lasciare che il Signore abiti quei templi che gli sono tanto cari: la nostra vita, le nostre famiglie, il nostro corpo.
Infine la speranza. I pittori ci insegnano che ciò che dà profondità alla luce è l’ombra, senza ombre non possiamo percepire la profondità della luce. Quando si ha tutto, e ci sembra di essere gestori dello spazio e del tempo, la speranza può dormire, ma quando si scatena la tempesta (come quella per i discepoli in mezzo al lago) allora andiamo a cercarla e a svegliarla. E siamo fortunati a trovarla così vicina: infatti non abbiamo un sommo sacerdote che non sappia compatire le nostre infermità, essendo stato lui stesso provato in ogni cosa… (Eb 4,14). Non siamo da soli e proprio la carità e la fede possono nutrire questa sorellina più piccola (direbbe Péguy) che è la speranza. Colei che dà la forza a tanti e nostri fratelli e sorelle in molte parti del mondo, che anche in questo momento combattono battaglie ancora più serie.
Un ultimo invito: ci aspettano giorni molto particolari, in cui ci è chiesto seriamente di mettere in campo tutta la nostra responsabilità e la nostra carità nella consapevolezza che siamo legati gli uni agli altri, avendo cura di proteggere e sostenere le persone più fragili o più impaurite. Per questo è doveroso attenersi a quello che ci è chiesto sia dal punto di vista civile, sia come parte di una comunità cristiana.
Siete quotidianamente nelle nostre preghiere
I sacerdoti della Pieve