CAMPO GIOVANI
in Sicilia tra antimafia e immigrazione.
Mercoledì 12: Torniamo
Nove giorni intensi, pieni, di volti, storie, incontri, domande. Pensiamo di salutarvi così, con un regalo. Come ogni sera ci prendevamo un momento x condividere una frase, un pensiero, un pezzo della giornata, così oggi tornando lo facciamo con voi, donandovi un pensiero finale su questa esperienza. Grazie per averci seguito e sostenuto.
Un abbraccio a tutti picciotti!
Mi piace pensare a questa esperienza come a un viaggio nelle periferie esistenziali, come le definisce papa Francesco. Un viaggio in realtà e situazioni molto più grandi di noi, rispetto alle quali mi sono sentito più volte incredulo, arrabbiato, impotente. Ma nelle quali ho colto anche tanta speranza. Non so cosa porterò a casa, le sensazioni sono tante e diverse e ci vorrà del tempo per “unire i puntini”. Sono grato per le persone che ho incontrato sulla mia strada, e per i frutti che questa esperienza porterà in ognuno di noi.
Andrea
E ora?” È questo il pensiero che continua a stuzzicarmi. È stata un’esperienza forte, difficile da raccontare, o meglio da fare capire agli altri. E ora? Ora è il momento di scommettere, scommettere sui miei sogni, sugli altri, sulle mie relazioni, su me stessa. Ora è il momento di affidarmi.
Miryam
Che poi l’importante non è solo riuscire a fare un qualche cosa nella nostra realtà, ma l’aver conosciuto come stanno le cose, avere idee basate sulle proprie esperienze e sempre nuove motivazioni che ci spingeranno a non lasciare che le emozioni di questi giorni ci passino addosso ma che diventino la spinta per un impegno maggiore di tutti noi.”
Giulia C.
“I codardi muoiono molte volte prima della loro morte.” Trovo che sia una verità assoluta quella che Paolo Borsellino ci ha regalato in questa frase. Ci vuol coraggio a fare un viaggio come questo. Un viaggio che inevitabilmente ti cambia e ti suscita tante, tantissime domande. Un viaggio che per alcuni aspetti mi fa tornare a casa arrabbiata; ma la speranza che un giorno le cose possano cambiare supera la rabbia. Spero di poter essere, anche solo con un sorriso, parte di questo cambiamento. Ieri ho visto una colomba bianca spiccare il volo , una colomba bianca simbolo di speranza in mezzo a tanto buio. Non credo, e non voglio credere sia solo un segno.
Elena
“Perché dove due o tre sono uniti nel mio nome, lì sono io in mezzo a loro!” Siamo partiti in dodici. Dodici, che ogni giorno in modo diverso, attraverso i racconti sulla mafia di alcuni testimoni e le esperienze di vita di migranti, hanno sperimentato i i differenti volti del Signore. Ho conosciuto nuove persone, ho scoperto nuovi punti di vista, ho imparato a sperare in modo nuovo, ho vissuto vere testimonianze. Un viaggio così, intenso e ricco di emozioni e riflessioni, mi ha aiutato “cambiare modo di guardare”!
Giulia R.
Credo che la Sicilia sia fatta dalle sue tante bellezze ma soprattutto dalle tante persone, che abbiamo conosciuto in questi giorni o no, che nel loro piccolo lottano per la giustizia e per la verità, per risollevare questa terra sofferente e da coloro che si occupano di solidarietà e di accoglienza. Porto a casa la capacità di vedere con occhi diversi la nostra quotidianità, la realtà migratoria e la criminalità nella nostra terra.
Silvia
Se il chicco di grano , caduto in terra non muore , rimane solo ., se invece muore , produce molto frutto. Vivendo in questi giorni esperienze con ragazzi immigrati attraverso le loro esperienze abbiamo capito che bisogna “morire” per loro e ricominciare ad aprirsi agli altri .
Chiara
La mafia vive dell’omertà della gente, i migranti nell’indifferenza generale. Le persone che abbiamo incontrato hanno testimoniato chi donando la propria vita, chi nel proprio piccolo che un cambiamento è possibile accompagnando alla preghiera il mettersi in gioco.
Davide
Tanti volti, tante storie: impossibile riassumere in una frase, certo è che non si può rimanere indifferenti; questa presa di coscienza non può stare lì ferma, è giusto comprendere qual’è la realtà dei fatti e fare qualcosa nel proprio piccolo. Non si può rimanere ignoranti e sopratutto non si può rimanere statici, ma bisogna cominciare da noi, dalle nostre giornate e dalle persone che incontriamo per essere esempio di carità e di speranza.
Maddalena
Pensando a questi giorni mi viene in mente una canzone di Ligabue che si intitola “quando canterai la tua canzone”. Mi è venuta in mente subito appena ho deciso di riflettere su quello che avevo vissuto qua in Sicilia. La prima strofa della canzone dice: “Son stati giorni che han lasciato il segno e stare al mondo è già di più un impegno e adesso giri con in tasca un pugno, nell’altra tasca il tuo rimario”. Esatto: ora io so per certo che girero’ con le tasche piene: da una parte ci saranno tutte le emozioni provate e, dall’altra, la consapevolezza che ciò che ho visto deve lasciare un segno nella mia coscienza. So per certo che questo segno non lo porterò solo io nel cuore ma anche gli altri del gruppo e ciò che mi piacerà di più ricordare di questa esperienza sarà proprio il fatto che non l’ho vissuta da sola ma l’ho vissuta assieme ad altre persone con una carica, un’allegria e una voglia di fare pazzesca. Tutto ciò credo che sia anche grazie a qualcosa che ci ha tenuto insieme e quel qualcosa probabilmente era la nostra fede.
Teresa
Martedì 11: La tenda di padre Abramo
La tenda di padre Abramo è una struttura gestita dai Frati Minori di Sicilia, una vera e propria casa, in cui tutti condividono tutto, in pieno spirito francescano. Una sorta di appartamento ad alta autonomia, pronto ad accogliere non solo stranieri senza dimora, ma chiunque non abbia “dove posare il capo”.
Oggi, dopo una mattinata di confronto sull’esperienza vissuta ed un pranzo arricchito dalla presenza e dalle riflessioni del rettore del seminario di Agrigento ci siamo recati a Favara. Ad accoglierci c’era Fra Giuseppe. Fra Giuseppe è un tipo originale, provocante, molto determinato. Dedica la sua vita da 10 anni a questa parte all’incontro con Dio attraverso i più poveri. Il convento di Favara ospita infatti uomini bisognosi, senza casa, senza lavoro. Uomini di diverse nazionalità, di religioni differenti. Uomini con i propri credo, ma che rispettano anche il credo altrui.
Rientrati, dopo una cena insieme agli ospiti del convento, porto con me tante storie diverse, complesse a cui associo un volto ricco di sogni, quei sogni che il mare ha spezzato a tanti altri ragazzi che ora sono solo numeri. Oggi, però, Fra Giuseppe e i ragazzi ospiti della tenda di padre Abramo mi hanno dimostrato che, amando il prossimo, la diversità può costruire ponti e non muri, quei ponti che non permetteranno di spezzare dei sogni.
Davide
Lunedì 10: “In verità, in verità io vi dico: se il chicco di grano, caduto in terra, non muore, rimane solo; se invece muore, produce molto frutto.”
Bisogna saper morire un po’. Bisogna fare posto nel proprio cuore. Bisogna accogliere. La nostra giornata inizia così: con questa consapevolezza. Cervello e cuore sintonizzati. Caffè in pancia. Si parte. Oggi Alessia, la nostra amica della diocesi, ci ha reso pellegrini. Abbiamo visto piazza Pirandello, il teatro, il municipio, porto Empedocle e anche il quartiere più abitato da migranti, qui ad Agrigento. Qual’era la nostra meta finale non ce lo volevano proprio dire. Abbiamo superato la posta, la questura e siamo arrivati alla stazione dei bus; dovevamo salire su quello che portava a piano Gatta. La nostra meta sarebbe stata un cimitero.
Entriamo e ci vengono mostrati alcuni loculi. Loculi strani, particolari, fastidiosi. Non c’erano dei nomi, in molti di essi non c’erano neanche delle foto. C’erano dei numeri. 9,23,12 … vittime del naufragio del 3 ottobre 2013 a Lampedusa. È un colpo al cuore. Don Giacomo decide di celebrare la messa in uno di questi loculi. Inutile dire o cercare di spiegare quanto toccante sia stato questo momento. Non bisogna lasciarsi scoraggiare però: ecco la nostra forza, si prega, si spera, si canta. Siamo cristiani testimoni di vita, non di morte. Per questa vita bisogna lottare. Rientriamo in seminario per il pranzo. Nel pomeriggio ci fa visita un fotografo, interessato al fenomeno della migrazione e ci racconta la sua visione delle cose. Dopodiché zaino in spalla e si torna in cammino.
Partiamo per villaggio Mosè, visitiamo la comunità Karol: un’abitazione formata da due appartamenti che accoglie ben 24 ragazzi migranti minori non accompagnati, arrivati ad Agrigento attraverso viaggi inimmaginabili in mare. Inizialmente abbiamo ascoltato una delle dirigenti del gruppo che ci raccontava di come funzionasse la casa poi è scoppiata la festa. Siamo stati accolti da questa grande famiglia che ci ha ospitato a cena. Riso egiziano, riso africano, spezzatino, pane. Il vero gusto non è stato tanto quello che si è sentito in bocca mentre trangugiavamo queste cose ma più quello che si è percepito dall’atmosfera che si era creata. Forse ci avrebbero presi per pazzi. Chissà.
Fatto sta che a fine serata eravamo tutti lì, su un balcone, a ridere, a scherzare, a cantare, a ballare, a scatenarci come chiunque sa fare e ha voglia di fare perché bisogna ricordare che, nonostante ci sia gente che è morta ed è morta con un numero c’è anche gente che c’è arrivata in fondo a quel viaggio maledetto ed ora è qua e desidera vivere. Vivere come chiunque vuole, deve, può e ha diritto di fare.
Teresa
Domenica 9: secondo giorno ad Agrigento
Il seminario diocesano che ci ospita domina la città. Da qui è possibile rendersi conto della realtà in cui siamo catapultati. Agrigento è una città sospesa. Sospesa tra il mare e le colline su cui è arroccata, tra un centro storico tanto affascinante quanto degradato e questi immensi grattacieli figli della speculazione edilizia del secolo scorso. Sospesa soprattutto tra culture diverse che provano a tendersi la mano.
Durante la mattina veniamo accompagnati per la città da Alice, una ragazza che fa parte di “Ecclesia Viva”, Onlus di giovani nata grazie all’impegno di un sacerdote, con lo scopo di recuperare le bellezze architettoniche della città e offrire servizi e percorsi di approfondimento ai turisti. In una città in cui essere giovani non è semplice, questi ragazzi sono uno straordinario esempio di come è possibile trovare il coraggio per “cambiare le cose” e provare a giocare un ruolo importante nella società in cui si cresce.
Nel pomeriggio ci accoglie Alessia, consacrata Scalabriniana, che dedica la sua vita alla cura della persona migrante. Alessia ci colpisce subito per la sua grande competenza e passione. Ci aiuta a conoscere a fondo la realtà migratoria, i numeri di questo fenomeno insito nella natura umana ma in costante aumento, le politiche che sono alla base di determinate situazioni. Il suo monito è semplice: senza conoscenza, non può esserci soluzione. Ed è questa la sfida che ci lancia: diventare Cristiani adulti capaci di andare oltre la superficialità delle cose. Concludiamo nella magnifica Valle dei Templi, che ci ricorda che la terra che abitiamo è mescolanza di culture e popoli, e che la diversità e l’accoglienza possono essere occasione di ricchezza vera.
Andrea
Sabato 8: Incontri
Dopo aver fatto l’ultimo tuffo nella splendida acqua della riserva del Cofano, oggi pomeriggio siamo partiti per Agrigento. L’ultimo bagno però non è stato così tranquillo come avevamo previsto, infatti sono venute a farci vista alcune meduse dalla presenza alquanto “pungente”. Come quasi a dire: “preparatevi ragazzi che questi ultimi quattro giorni che vivrete saranno per voi forti e pungenti”!
Ed è proprio stato così, dopo alcune ore di macchina finalmente arriviamo ad Agrigento, dove ci aspetta il direttore della Caritas Diocesana e da qui parte il nostro viaggio sul tema dell’immigrazione. Dopo aver visitato la struttura che ospita alcuni migranti , entriamo nel vivo della loro tragica storia; e lo facciamo attraverso uno spettacolo che loro hanno preparato per noi. Una lettura a più voci interpretata da loro sulla strage di Lampedusa del 3 ottobre 2013, davvero commovente e toccante. Ma il messaggio che alla fine con la loro testimonianza ci vogliono trasmettere è un messaggio di speranza. Nonostante le difficoltà che hanno attraversato hanno la speranza di un futuro, un futuro positivo che loro sono pronti a costruire e a vivere. Forse non hanno perso la speranza proprio grazie alle persone che li hanno salvati e accolti nella misericordia di Dio.E come ci insegna San Francesco , “Tu sei speranza nostra. Tu sei fede nostra. Tu sei carità nostra.”
Ed è proprio grazie alla carità che alcuni agrigentini hanno dimostrato nei confronti dei migranti se questi hanno salvato il loro corpo, ma soprattutto la loro anima da tanta sofferenza. Il nostro viaggio continua domani e noi siamo pronti al confronto con questa realtà che sicuramente ci arricchirà.
Elena e Chiara
Venerdì 7: Mare, Sole, Immensità
Il mare é proprio quello siciliano, tranquillo, limpido e profondo. Il sole é splendente e illuminante. Immensa é la tranquillità quasi isolata di questa riserva ai piedi del Monte Cofano. Mettendo insieme questi tre elementi non posso che fermarmi a pensare a quanto la vastità del cielo, del mare e della terra siano qualcosa di davvero inimmaginabile finché non te ne riempi gli occhi, il cuore e la mente!
Questa giornata mi ha dato l’occasione di riflettere sul valore dei miei gesti quotidiani, ricordandomi, come diceva Madre Teresa, che “Quello che noi facciamo è solo una goccia nell’oceano, ma se non lo facessimo l’oceano avrebbe una goccia in meno.” Tra il relax, la tranquillità e lo stare insieme di oggi e dopo l’intensa esperienza dei tre giorni a Palermo, mi sento pronta per la prossima tappa: Agrigento, in cui arriveremo nel cuore del nostro viaggio ad affrontare il tema dell’immigrazione.
Con la speranza che gli incontri dei prossimi giorni mi mettano in ascolto ed allo stesso tempo mi diano la possibilità di condividere delle nuove e significative esperienze.
Giulia
Giovedì 6: Capaci – Cinisi
“La mafia ci vuole tristi e impauriti, ma noi siciliani ogni tanto sorridiamo e facciam festa!!” Questo è il messaggio che oggi ci ha voluto lasciare Antonio, uno dei primi testimoni della strage di Capaci in cui fu ucciso il giudice Giovanni Falcone, sua moglie e una parte della sua scorta. Antonio, allora ventenne con la passione della fotografia, abita nella zona tra la torretta da cui fu azionata la bomba e dove adesso compare una grande e significativa scritta “NO MAFIA” e l’autostrada, dove adesso sorgono due steli monumentali e fu tra i primi a giungere nel luogo della strage e impaurito comincio a scattare fotografie finché due uomini, fingendosi per poliziotti, gliela sequestrarono. Da allora Antonio cerca la sua macchina fotografia per darla in mano a chi ha incarcerato i colpevoli, come ulteriore testimonianza.. Antonio è uno dei tanti che in questa terra e per il bene di questa terra cerca la verità e la giustizia di cui hanno bisogno le nuove generazioni per sognare un mondo non così brutto come a volte può sembrare.
Mi sto rendendo conto sempre di più di come è impegnativo convivere tutti i giorni con la mafia, convivere con le memorie e i ricordi ma farlo sempre con la speranza e la consapevolezza che è possibile ottenere un cambiamento. Un cambiamento che deve nascere dalle mentalità e che quindi dipende anche da noi, non solo dall’ascolto di queste testimonianze ma anche dal diffondere la buona notizia che stanno portando avanti tante persone per conoscere la verità e ridare dignità a questo popolo che può sembrare spento e sottomesso, ma che invece dimostra sempre di più, a mio parere, la voglia di voler ricominciare. Voglia di ricominciare che ha dimostrato in primis Peppino Impastato che, nonostante fosse nato in una famiglia mafiosa, si è fatto portavoce di una vera lotta antimafia per scardinare le brutte abitudini in cui era cresciuto.
“Beati quelli che hanno fame e sete di giustizia, perché saranno saziati”
Silvia
https://youtube.com/watch?v=gqWJopwpJD0%3Frel%3D0%26controls%3D0%26showinfo%3D0
Mercoledì 5: C’è più amore nel rimettere insieme i frammenti che nel dare per scontata l’integrità di un vaso, che, riparato, acquista un’inspiegabile nuova bellezza, più simile alla vita.” (Ciò che inferno non è)
Questo passo del libro spiega alla perfezione ciò che padre Pino Puglisi insieme ai suoi collaboratori ha cercato di fare e che ha realizzato con i ragazzi di Brancaccio. Brancaccio, quartiere di Palermo, sconosciuto ai palermitani stessi; arrivati intorno alle 10 entriamo nella chiesa ci viene chiesto di partecipare insieme alla comunità alla messa in memoria di Nino, carabiniere, e della sua compagna Ida (all’epoca incinta uccisi dalla mafia! Impatto forte. Ci scontriamo subito con una realtà diversa dalla nostra… ma che cos’è nostro e che cos’è loro? Non siamo responsabili tutti? Alla fine della messa visitiamo il centro parrocchiale di accoglienza “Padre Nostro”, costruito da padre Pino e dai suoi collaboratori, tra cui Gregorio Porcaro. Gregorio si ferma a parlare con noi, a raccontarci del centro e di don Pino, della loro missione: aiutare i bambini e i ragazzi di Brancaccio a rimettere insieme i pezzi, a costruire, a dare loro la possibilità di un futuro diverso. Futuro: parola che fa paura, di cui a volte, come per quei bambini di Brancaccio, non si conosce neanche il significato. Ascoltando le parole di Gregorio mi sono chiesta: ma io cosa voglio fare della mia vita? Perché ho paura di sporcarmi le mani o di soffrire? Quand’è che mi alzerò dal mio divano comodo e prenderò in mano la mia vita, il mio futuro che forse, finalmente, non farà più paura? Miryam
Martedì 4: pronti a mettersi in gioco
E’ fuori dagli schemi ciò che gli apostoli hanno visto nel Vangelo di oggi: Gesù camminare sull’acqua. Ne sono rimasti confusi, impauriti in un qualche modo. Anche io, quando mi si è presentata l’occasione di compiere questo viaggio, ho tentennato; avevo altre mille possibilità di scegliere una vacanza semplice, di puro divertimento con le amiche di sempre, o semplicemente di lasciar perdere..ma ho scelto di scontrarmi e confrontarmi con un nuovo gruppo di giovani, con la scommessa che questi 9 giorni in Sicilia mi potranno lasciare quel qualcosa in più, che sappia arricchirmi nel profondo. E sono proprio le persone (ragazzi, Don Giacomo e Roberto) partite con me stamattina che per prime e fin da subito voglio tanto ringraziare.
Contrasti. Palermo è la città dei contrasti. Appena scesa dall’aereo, neanche 15 ore fa, ne ho notati ovunque. E’ divisa tra mare e monti, tra il caldo del sole e il vento dell’ombra, tra Siciliani e turisti, tra bellezza e degrado, tra mafiosi e non mafiosi. Proprio su quest’ultimo la nostra guida, Stefano, ha insistito: scardinare degli stereotipi. Come quello che tutti i siciliani son mafiosi, che la mafia ha aiutato da sempre i poveri, che la mafia è solo al sud, che non ci si può far niente. Ha lanciato con le sue spiegazioni sui luoghi significativi di Palermo e la sua personalissima esperienza con l’associazione “AddioPizzo” le basi affinché ci sia informazione e quindi conoscenza del fenomeno mafioso; il primo e fondamentale passo per sconfiggerlo. La giornata s’è poi conclusa con la visita alla splendida cattedrale di Monreale, famosissima per i suoi enormi e magnifici mosaici.
Pronta per vivere ogni istante del secondo giorno di viaggio, corro a letto sfinita, ma entusiasta.
Giulia